La Circular Economy è sicuramente una trasformazione necessaria, quanto complessa, a partire dalla sua definizione. Le definizioni di economia circolare della Comunità Europea o dell’Ellen MacArthur Foundation sono citate dai più ma quando si scende nei dettagli ci sono ancora molte sfumature su cui non tutti sono d’accordo.
Indipendentemente dalla definizione che utilizziamo, ci sono tre caratteristiche ricorrenti:
La complessità è legata a molti aspetti, primo fra tutti la diversità degli attori coinvolti e di come i loro ruoli siano interconnessi.
Alcune strategie sono più semplici da attuare, in particolare se chi le attua è autonomo nel farlo e ne trae un beneficio immediato: un'azienda che implementa un macchinario più efficiente, oppure una persona che acquista un prodotto a risparmio energetico stanno, forse inconsciamente, applicando la strategia “reduce”.
I casi più difficili sono, invece, quelli in cui gli attori, singolarmente o in modo collettivo, hanno un ruolo attivo ed è previsto un cambiamento faticoso da mettere in atto, che magari coinvolge sia le abitudini che la mentalità di una persona, oppure che prevede l’acquisizione di nuove competenze.
Di tutte le strategie, infatti, quella più complessa da attuare è “ricondizionare” perché necessità l’acquisizione di competenze tecniche e capacità creative ma che, applicate dai singoli, possono col tempo generare vantaggi ambientali importanti per le comunità territoriali (secondo Ellen MacArthur Foundation:“Returning products to good working order is a way to restore their value. This could include repairing or replacing components, updating specifications, and improving cosmetic appearance.”).
Questa complessità, ma anche opportunità, ha favorito col tempo la nascita di movimenti, associazioni, piattaforme digitali e progetti internazionali per sensibilizzare sul tema della sostenibilità le comunità sulle possibili attività di riparazione, divulgarne i benefici, attivare lobbying internazionali per favorire leggi di tutela delle attività di riparazione. Diversi sono i tutorial di fai da te o le occasioni di incontro, on e offline, di community ispirate dalla volontà di dare il proprio contributo e allungare il ciclo di vita del prodotto attraverso la riparazione di oggetti d’uso quotidiano (computer, biciclette, abiti, etc), anche come esercizio creativo.
Nonostante queste soluzioni, la riparazione rimane un'attività di nicchia che non riesce a creare grandi economie di scala da cui possa nascere un servizio offerto da un’azienda. Questo a causa di diversi fattori:
Tuttavia, quelli che sembrano limiti possono diventare occasioni se guardati da un punto di vista diverso, e i Fab Lab ne sono un esempio. I Fab Lab sono laboratori di fabbricazione digitale aperti a tutti, nati vent’anni fa al MIT di Boston e poi diffusisi in tutto il mondo, creando una rete di circa 2000 laboratori. Ogni Fab Lab ha alcune caratteristiche in comune – come ad esempio le tecnologie, la predisposizione per la collaborazione, la capacità di fare “rete” a livello locale, una visione dell’innovazione distribuita ed equa, e la propensione alla condivisione della conoscenza in open source; mentre altre sono tipiche del territorio e delle persone che lo frequentano.
OpenDot è un nodo di questa rete internazionale, fondato a Milano nel 2014 dallo studio di progettazione Dotdotdot, che ha sempre lavorato su progetti innovativi che usassero la tecnologia e il coinvolgimento delle persone per avere un impatto positivo sull’ambiente e la società.
Per poterlo fare OpenDot fa leva su cinque punti chiave:
È per questo che il progetto “Unwanted Furniture”, realizzato grazie alla collaborazione con AMSA, società del Gruppo A2A, presenta un approccio importante e complementare a ciò che esiste già.
L’obiettivo del team era quello di lavorare su tutti gli aspetti della riparazione e il restyling dei mobili, per ridurre la quantità di arredi che le persone gettano via tuttavia ancora utilizzabili.
Le motivazioni che portano allo scarto, infatti, sono le più svariate e spaziano dalla questione funzionale a quella estetica. Molto spesso però, gran parte dei mobili potrebbero non diventare rifiuto, ma essere aggiustati, rinnovati o trasformati in nuovi oggetti in pochi semplici passaggi.
Tutte le possibili strategie di economia circolare ed eco design selezionate sono spiegate e illustrate nel catalogo “Unwanted Furniture”, presentato alla Design week e alla Green week 2022, in un racconto semplice step-by-step.
Il catalogo è organizzato in 4 categorie, partendo dalle categorie più sostenibili e con il maggiore impatto fino al riciclo creativo:
Ogni strategia è corredata di una galleria di altri oggetti di design per ispirare i cittadini e di una sezione che raccoglie progetti innovativi, piattaforme e tutorial di making per approfondire tecniche e processi circolari per realizzare progetti DIY (do-it-yourself).
L’intero manuale è disponibile gratuitamente e può essere utilizzato anche da associazioni, scuole, start-up, centri del riuso, pubbliche amministrazioni, etc. pensato proprio con l’obiettivo di fornire uno strumento in più a supporto della diffusione e della scalabilità dei progetti di riparazione.
Proprio la riparazione può essere l’occasione giusta per sensibilizzare le persone sulla tutela ambientale, formarle e coinvolgerle attivamente in una trasformazione di cui possiamo (o forse dobbiamo) essere tutti i protagonisti.
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